LA LUNGA E AGGUERRITA SFIDA DEI MARCHI

 
Il successo di un prodotto è oltremodo legato al suo marchio, nome, etichetta e design, il cui contributo spinge le aziende in modo più o meno consapevole al raggiungimento del suo pubblico tramite claim e brand di successo.

Basti pensare al caso Disaronno vs Lidl: in una di queste battaglie legali, la proprietaria dell’Industria Lombarda Liquori Vini e Affini sta affrontando Lidl in Tribunale. L’accusa nei confronti del colosso tedesco è di contraffazione del marchio e concorrenza sleale. L’azienda italiana chiede il ritiro di ben 11 milioni di bottiglie dell’amaretto “Armilar”, in quanto troppo simile all’originale: la celebre bottiglia rettangolare con gli angoli smussati, l’etichetta con le lettere dorate e soprattutto il caratteristico tappo squadrato e scuro sono tutti marchi registrati dall’azienda ILLVA Saronno S.p.A. La diatriba si complica se si considera che il liquore della Lidl viene prodotto per il colosso tedesco dalla modenese Casoni Fabbricazione Liquori S.P.A., una delle più antiche distillerie italiane, con oltre 200 anni di storia. Per questa ragione, davanti alla Cassazione, i vertici dell’azienda tedesca hanno sostenuto di «non aver mai prodotto, venduto o esportato la bottiglia Armilar», attività che sarebbero «imputabili esclusivamente alla Casoni», anche se la proprietà del marchio europeo della bottiglia è appunto della Lidl.
Al momento ILLVA Saronno ha vinto i primi due gradi di giudizio contro Lidl Italia e quest’ultima continua a vendere il liquore in Italia: la bottiglia rimane immutata mentre il tappo ora è semplice, sottile e rotondo che non ricorda più quello “originale”. 

Altro interessante caso riguarda una celebre birra: la Budweiser. Ma perché in Italia, come in molti Paesi d’Europa, vi viene servita una “Bud” e in America invece una “Budweiser”? La bottiglia, il produttore, l’etichetta e persino la birra sono le stesse, ciò che cambia è solo il nome: è questo il risultato di un’altra lunga e storica battaglia legale iniziata a metà degli anni Novanta, che si è conclusa a vantaggio di una piccola realtà boema originaria della cittadina ceca di Ceské Budejovice. Ai tempi dell'Impero austro-ungarico la città si chiamava Budweis, e, da qui, la birra: «Budweiser Budvar», patrimonio nazionale in Repubblica Ceca. La birra boema «Budweiser» è una Indicazione Geografica Protetta riconosciuta in Italia dal 1967 e il marchio del principale tra i produttori  boemi venne registrato in Italia nel 1939. Invece, la «Budweiser» americana inizia ad essere prodotta in Italia dalla Peroni, solo nel 1990; se a metà degli anni Novanta sono gli americani ad andare in tribunale, riuscendo a far invalidare i marchi boemi e la denominazione d’origine registrata nel ’67, facendo così sparire nel 2001 la “Budweiser” boema, nel 2004, dopo l’ingresso della Repubblica Ceca nell’Unione Europea, lo scenario decisamente cambia.  La UE dichiara la birra Budweiser Budvar prodotta a České Budějovice come IGP, di diritto euro-unitario: ecco perché oggi ciò che in America si chiama «Budweiser» in quasi tutta Europa deve chiamarsi «Bud», se differente dalla birra ceca. È ben noto che moltissimo viene investito negli studi per indagare gli usi e costumi dei Consumatori, ma forse ciò che è meno conosciuto sono le lunghe battaglie legali causate da marchi, claim, etichette ingannevoli che coinvolgono spesso diversi Paesi ed elevate quantità di denaro.
 
FONTI: Corriere della Sera e La Lettura
 
 
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