Parere e libere considerazioni dell'Avv. Giuseppe Maria Durazzo, esperto in materia di legislazione alimentare.
L'Autorità Garante della Concorrenza e del mercato è intervenuta in materia di claim nutrizionall e salutistici, emandando provvedimenti nei confronti di aziende del settore alimentare che hanno utilizzato indicazioni riguardanti il contenuto di colesterolo, betaglucani e steroli. Tali provvedimenti costituiscono un doveroso richiamo ad una maggiore attenzione da parte delle aziende, ma ci si auspica che attirino anche l'attenzione del Legislatore, al fine di verificare il grado di coordinamento dei numerosi organi ispettivi creati.
Le considerazioni dell'Avvocato Giuseppe Maria Durazzo
Tratto di quattro provvedimenti su questioni di presentazione degli alimenti, tutti adottati in pari data il 24/5/2011 dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – che per comodità di lettura successivamente indicherò anche come Autorità-, tutti ruotanti intorno ad aspetti di pratiche commerciali scorrette secondo la definizione del Codice del Consumo, che meritano l'attenzione degli operatori.
In breve sintesi, il n. 22462, si occupa dei prodotti da forno di una nota marca, contestando l'indicazione « 0,001% di colesterolo », sia perché non esiste un claim applicabile tra quelli di cui all'allegato del Reg.CE 1924/2006, sia perché ritenuto ingannevole il fatto stesso di parlare di colesterolo indicandone la quantità (punto 61).
Lo stesso provvedimento stigmatizza la dizione « Col Cuore, con betaglucani » a causa dell'insufficiente apporto degli stessi con la razione tipo del prodotto.
Il provvedimento n. 22463, riguarda una nota azienda di cereali per la prima colazione che finisce sotto inchiesta per l'affermazione secondo la quale il betaglucano riduce il colesterolo e per i richiami alla riduzione del colesterolo. Fondamentale, nella pronunzia che delibera di rendere obbligatori gli impegni autoproposti dall'azienda a seguito dell'apertura del procedimento, é l'espunzione di ogni claim che colleghi l'assunzione dei betaglucani con la riduzione del colesterolo, correlato al fatto che la quantità di betaglucani apportati con la razione dell'alimento é inferiore a quella che l'EFSA associa ad effetti salutistici.
Il provvedimento n. 22453 riguarda nuovamente un'azienda di prodotti da forno ed ancora per il claim « 0,001% di colesterolo » e per quello: «ingredienti contenenti steroli vegetali ». Anche in detto provvedimento viene smentita la possibilità che sia applicabile il claim relativo al colestero nell'ambito dell'allegato al Reg. CE 1924/2006.
Parimenti in questo provvedimento, la stessa dazione di un'informazione o di un dato sul colesterolo, al di fuori dell'etichettatura nutrizionale é considerato ingannevole. Al punto n. 54 leggiamo: « tale dicitura -quella sulla pochezza del colesterolo, n.d.r.- non deve risultare in concreto fuorviante, in base ai criteri generali enunciati dagli articoli 3, lettera a), e 5 delle stesso Regolamento CE (il 1924/2006, n.d.r.) ovvero fornire un'indicazione nutrizionale relativa ad una sostanza che « ha effetto nutrizionale o fisiologico benefico, sulla base di prove scientifiche generalmente accettate ». A questo riguardo -continua il provvedimento dell'Autorità- si rileva che lo scarso tenore di colesterolo alimentare nei prodotti in realtà é, sulla base di un'ampia letteratura scientifica le cui conclusioni sono sintetizzate nelle citate Linee guida per una sana alimentazione italiana dell'INRAN, un fattore nutrizionale privo di specifico e particolare beneficio, e soprattutto non é provata alcuna relazione positiva fra alimenti privi di colesterolo e il controllo della colesterolemia dell'individuo…. ».
A prescindere dal fatto che se il colesterolo fosse privo di specifici effetti (positivi) sul consumatore, come si legge testualmente, il Regolamento sui claims non si applicherebbe ed allora ogni discussione a proposito sarebbe soltanto un inutile esercizio retorico, sembra che l'Autorità associ mentalmente al termine colesterolo una valutazione salutistica che smentirebbe il documento dell'INRAN citato, invece, a sostegno della propria tesi. Quindi, irrisolto il caso dell'effetto nutrizionale o fisiologico del colesterolo, rimane pure obliterato il fatto che si possa parlare di colesterolo per ogni altro aspetto. Ed anche come si faccia a valutare l'ingannevolezza della pratica commerciale con riferimento ad un'informazione relativa ad una sostanza, insignificante dal punto di vista dei claims ex Reg. CE 1924/2006, ma alla quale si riconnette una diffusa attenzione nutrizionale tanto da farne oggetto di pronunzia e di uno spazio nella stessa etichettatura nutrizionale.
Nel provvedimento n. 22464, oggetto di esame sono indicazioni sul ridotto apporto di grassi saturi, e l'apporto di Omega 3, e le fibre di betaglucano. L'Autorità autorizza l'azienda, anche in questo caso autoproponente delle modifiche a seguito dell'apertura del procedimento nanti l'Autorità, ad intervenire sulle proprie etichette indicando « con betaglucano d'avena » e precisando che per il contenimento del colesterolo occorrono 3 g/die, mentre la porzione di biscotti apporta un terzo delle dose quotidiana suggerita, e l'indicazione « solo 1,4% di grassi saturi ».
Dai provvedimenti esaminati possiamo trarre alcuni principi e talune osservazioni di comportamento.
-Forse non stupisce che la comunicazione aziendale utilizzi unità di misure improprie (ma corrette) per trasmettere meglio un concetto: dire 1 mg é meno d'impatto che dire 0,001 g -con riferimento a qualcosa di cui si intenda vantare la ridotta quantità-, anche se finora assai raramente questo concetto sia stato censurato. Anzi, personalmente ricordo le critiche ricevute esprimendo il suddetto semplice pensiero in epoca non sospetta.
-Appare più strano che, tra un numero e l'altro, possa sfuggire all'impresa di aver superato dei valori soglia imposti dalla normativa per vantare un certo claim e qui si nota come, nonostante i tanti controlli, non conformità cosi' evidenti, e svelabili per tabulas, possano realizzarsi. E quindi la bontà di un rafforzato controllo sulle etichette e sulla comunicazione.
-Dura lex sed lex, si potrebbe chiosare, il richiamo all'utilizzabilità di claims relativamente ai soli nutrienti disciplinati in tema di etichettatura nutrizionale, sebbene anche in questo caso l'Autorità non tenga conto dei numerosi fattori nutrizionali che, precedentemente alla normativa sui claims, ma successivamente a quella sull'etichettatura nutrizionale, gli Stati membri hanno riconosciuto determinandone sovente le razioni di assunzione raccomandabili. Quindi gli Stati membri hanno ripetutamente violato la normativa sull'etichettatura nutrizionale determinando liste di sostanze nutrizionalmente significative e relative razioni d'uso (r.d.a.) e con loro chi abbia fatto riferimento a quelle liste, o la legittimità degli atti dispositivi degli Stati membri legittima necessariamente il comportamento di chi vi si sia conformato. O forse, nel caso in esame, é legittimo stimare che poco peso sia stato dato all'attività regolatoria degli Stati.
-Non trovo condivisibile che la sola evidenziazione in etichetta di un nutriente determini un'ipotesi di ingannevolezza. L'associazione mentale tra un qualsiasi nutriente ed il presunto effetto nutrizionale, fisiologico, psicologico o salutistico mi sembra appartenga ad una sfera che non solo é personalissima, ma é soggettiva rispetto al livello di cultura ed informazione o di controinformazione. Termine, quest'ultimo, che qui utilizzo per indicare una banale informazione erronea, o non contestualizzata cronologicamente o per il gruppo sociale di appartenenza del consumatore o a causa di altri fattori.
Bandire il termine colesterolo dall'etichetta dei prodotti alimentari -salvo dall'etichettatura nutrizionale- pare essere legato ad una percezione dell'Autorità che forse ritiene come associato a quel termine qualcosa che personalmente non trovo nella legge. Si potrà obiettare che si tratta di un'interpretazione evolutiva, che occorre entrare nello spirito comune dei consumatori per immaginarne le reazioni, ma debbo francamente esternare il disagio rispetto a queste ipotesi di lavoro.
In via generale osservo che colesterolo, betaglucani e fitosteroli ed omega 3 -sostanze nutrizionalmente interessanti-, sono finite sotto la lente d'ingrandimento, non di un'autorità sanitaria, non dei numerosi ed operosi agenti di diversi corpi pubblici che si occupano quotidianamente di sicurezza alimentare, ed in generale di conformità degli alimenti e delle relative filiere, non dell'autorità giudiziaria, ma sotto quella dell'Autorità per la Concorrenza ed il Mercato e pure, in parte, di quella per le Garanzie delle Comunicazioni.
Per quanto riguarda l'utilizzabilità del claims « a tasso ridotto di… » con riferimento al colesterolo, l'Autorità non la ritiene ammissibile nonostante prenda atto (punto n. 35, provv. 22453) che « la parte ha depositato uno scambio di mail con un dirigente del Ministero della Salute che confermerebbe tale interpretazione ».
A parte l'uso del condizionale da parte dell'« Autorità » nei confronti del competente Ministero, l'Autorità sembra dimenticarsi che il punto di contatto con la Commissione UE, per il Regolamento 1924/2006 é proprio il Ministero della Salute che a livello tecnico ha collaborato alla stesura del testo e quindi é il soggetto italiano più competente e legalmente competente, a parlare di claims ed anche ad acclararne i punti più oscuri della relativa disciplina giuridica.
Anche il provvedimento n. 22463 dell'Autorità, al punto 16, prende in considerazione l'autorità amministrativa centrale in questi termini: « La validità di tale interpretazione, a supporto del claim contestati, sarebbe avvalorata, secondo il professionista, dai pareri favorevoli emessi -nel periodo 2007/2008 e in via preventiva – sui messaggi pubblicitari, relativi al prodotto de quo, da parte del Comitato di controllo dell'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria nonché, sull'etichetta del prodotto, da parte del Ministero della Salute ».
In questo contesto, pare essere eccessivo ricordare che laddove la normativa vigente obbliga alla notifica di etichetta al Ministero della Salute, la valutazione dell'Amministrazione riguarda esclusivamente gli aspetti concettuali e formali relativi alla ragione della notifica e non gli aspetti regolamentari non pertinenti con l'oggetto della notifica stessa. Cio' precisato e tornando ad una visione d'insieme, il punto é che, sugli aspetti per cui vige l'obbligo della notifica, il Ministero é il solo soggetto competente legalmente e soltanto un'impugnazione di quella decisione, evidentemente nelle sedi proprie giurisdizionali, puo' sconfessare l'approvazione od il rigetto dell'etichetta notificata. Cio nonostante il provvedimento dell'Autorità, di fatto si pone al di sopra di una decisione adottata(ed incontestata nelle sedi proprie) dall'amministrazione competente, invece che rispettarla.
Quindi, a parte lo scarso coordinamento tra corpi dello Stato, appare grande il disorientamento dell'operatore che, interpellato il Ministero competente ed essendosi allineato alla posizione dallo stesso espressa, si veda sanzionato dall'Autorità, pure essa corpo amministrativo.
Se i pareri o le posizioni di un Ministero dello Stato sono facilmente superati dall'Autorità nei provvedimenti in esame, a maggior ragione non hanno migliore destino le pronunzie dell'Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria e le posizioni pubbliche (e condivise a livello comunitario) di una nota associazione di categoria. A questo proposito si veda il già citato punto n. 16 della pronunzia n. 22463, per quanto riguarda l'I.A.P. e la pronunzia n. 22453, al punto n. 34, dove si contesta, sebbene avvalorata dalle linee guida di Federalimentare, che l'indicazione di 0,001% di colesterolo sia utilizzabile sulla base dell'estrazione del dato analitico dalla tabella nutrizionale, considerandolo come dato come asettico.
Ma sottesa alle diverse pronunzie, sia nelle parti che condivido, che in quelle che non mi vedono d'accordo c'é un'idea immanente, solo parzialmente giuridica, che vuole la conformità alla norma come un elemento quasi marginale o comunque residuale rispetto all'aspetto dell'ingannevolezza. Come non glossare che la punibilità dell'ingannevolezza é fondata nella legge, ma anche il rispetto delle norme di etichettatura lo é?
Vengono rimessi in gioco e contestati punti ritenuti assodati, come quelli dove vi sia stata una presa di posizione ministeriale, e cio' da parte di un soggetto estraneo alla predisposizione, all'interpretazione delle norme alimentari e privo di competenza tecnica specifica non essendo soggetto appartenente all'area della sanità pubblica, all'igiene degli alimenti e della veterinaria. Eppure il giudizio di ingannevolezza sembra quasi di rango superiore a quello relativo agli altri aspetti di conformità. Non pare, ad esempio, che sia stato fatto ricorso all'enorme esperienze e monitoraggio del territorio che assicurano i servizi locali di sanità pubblica, o l'Istituto Superiore di Sanità, col bagaglio delle reti interlaboratorio nazionale ed internazionale, di punto di riferimento per innumerevoli materie, di laboratorio di revisione d'analisi per molteplici vicende di sospetta non conformità, e lo stesso potrebbe dirsi degli Istituti Zooprofilattici che spaziano, in una visione complessiva dei vari organismi citati, su tutti gli aspetti della nutrizione e del benessere.
Inoltre, non pare superfluo notare, con tutto il rispetto del caso, che per affrontare temi cosi' specifici, occorrerebbe che fossero anche assicurate dinnanzi all'Autorità garanzie maggiori, a partire dalla separazione delle funzioni d'indagine da quella decisoria, cosi ' evitando una situazione che costituisce un'unicum nel suo genere. Od al contrario che si optasse per escludere i prodotti alimentari dalla competenza di questa Autorità.
Lo stesso puo' dirsi per la procedura e la garanzia del cittadino e professionista che veda il proprio claim alimentare esaminato dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ai sensi dell'art. 27, comma 6, del Codice del Consumo, per il sol fatto che il messaggio aziendale sia stato pubblicato su internet. Nei due casi sopra menzionati di condanna delle aziende, le sanzioni delle due Autorità si sono stratificate, l'una sull'altra tanto che il provvedimento dell'Autorità per il Mercato e la Concorrenza ne da atto.
O il corpo normativo é unico, ed allora sarebbe opportuno mantenere anche l'unicità della giurisdizione per materia, od inevitabilmente ci troveremo ancora ad osservare come lo stesso alimento possa essere controllato secondo prospettive ed esperienze diverse. A questo punto dobbiamo pure attenderci che l'Autorità per la Sicurezza Alimentare diventi organo con potere sanzionatorio cosi' esprimendosi a tutto campo sugli alimenti, in concorrenza di competenza con altre giurisdizioni?
I ricordati provvedimenti costituisco, per taluni citati aspetti, un doveroso richiamo ad una maggiore attenzione da parte delle aziende, ma dovrebbero attirare anche l'attenzione del Legislatore che, dopo aver creato numerosi organi ispettivi con competenze normalmente sovrapposte, procedure di analisi e revisione diverse, non evitato che sovente sanzionatori e loro controllori siano in evidente conflitto d'interesse, non ha evitato che organismi diversi possano giudicare di etichette, di nutrienti e più in generale di alimenti senza coordinamento con altri soggetti legalmente competenti.
In concreto il cittadino che sia consumatore od anche imprenditore deve poter fare affidamento sull'amministrazione pubblica, come se, nella pur necessaria specializzazione o competenza per territorio, l'interlocutore fosse unico. Conformarsi ad un'indicazione ministeriale e poi essere ritenuto responsabile di comportamento contrario al Codice del Consumo, come se l'imprenditore non fosse un consumatore lui stesso, appare un paradosso al quale porre urgentemente rimedio. Nell'interesse dell'amministrazione ed in quello speculare del cittadino.
p22462 – GALBUSERA-0,001% DI COLESTEROLO 2011.pdf