un ulteriore approfondimento, con spunti di riflessione, su un tema spesso oggetto di discussioni a livello istituzionale
Fin da quando, nel 2002, sono stati scoperti i meccanismi che portano alla formazione dell’acrilammide nei cibi cotti, le strategie per limitarne le formazione rappresentano un tema di grosso interesse per la comunità scientifica, industriale ed istituzionale.
Per offrire supporto alle piccole e medie imprese con limitate risorse interne di Ricerca e Sviluppo, la FoodDrink Europe ha messo a punto delle Linee Guida per la riduzione dell’acrilammide in 5 categorie di alimenti (biscotti, pane, cereali, patatine fritte a bastoncini, patatine in busta). Per ogni categoria sono illustrate diverse strategie che coinvolgono l’intera filiera a partire dalla coltivazione/selezione delle materie prime, fino alla scelta degli ingredienti ed al processo finale di cottura.
Al momento, però, in assenza di vincoli regolamentari e/o politiche definite, la scelta finale della strategia da implementare spetta in maniera esclusiva all’azienda di trasformazione alimentare in funzione del determinato prodotto e del determinato processo industriale ma anche della propria economia di scala; non tutti i metodi risultano, comunque, applicabili alle esigenze di ogni specifico produttore.
Di contro, però, la comunità scientifica è unanime nell’affermare che le varie strategie proposte dalle linee guida non possono essere ritenute di equale validità ma è necessario associare alle Linee Guida stesse delle maggiori informazioni che indirizzino gli operatori del settore verso la scelta della metodologia più appropriata per la mitigazione dell’acrilammide.
La valutazione delle diverse strategie proposte deve tenere conto di tre differenti fattori tra loro intersecati:
- l’efficacia intesa come percentuale di riduzione dell’acrilammide che si può ottenere mediante l’applicazione della strategia;
- l’efficienza ossia l’assenza di “effetti collaterali” quali, ad esempio, modifiche a livello sensoriale o formazione di composti indesiderati;
- l’applicabilità anche alle realtà industriali più piccole ed il conseguente impatto economico della modifica del processo.
I tre aspetti sopraelencati sono tra loro strettamente connessi: se, ad esempio, una strategia non è sufficientemente efficace la sua applicazione non ha senso ma se, di contro, essa determina variazioni inaccettabili per il consumatore o spese eccessive per il produttore il suo impiego a livello industriale non sarà possibile.
Nella valutazione definitiva delle strategie di mitigazione, la comunità istituzionale dovrebbe, pertanto, valutare in maniera olistica i vari punti di forza e/o debolezza di ogni singola metodologia suggerita fornendo agli utilizzatori finali delle precise indicazioni in merito.
Per quanto riguarda i prodotti da forno (biscotti, pane, cereali), ad esempio, l’impiego dell’enzima asparaginasi è considerato un buon sistema per promuovere efficacemente la degradazione dell’asparagina libera quale principale precursore dell’acrilammide e limitarne, di conseguenza, la formazione. Sebbene il costo dell’enzima sia ancora relativamente alto l’asparaginasi non ha impatto sulle caratteristiche sensoriali del prodotto finale ed il suo impiego è di semplice gestione (soprattutto nei prodotti a lunga lievitazione).
Tra le metodologie proposte dalle linee guida della FoodDrink Europe per la mitigazione dell’acrilammide nei prodotti da forno, la comunità scientifica valuta in maniera positiva anche una strategia da applicare a monte della filiera ossia la coltivazione dei cereali in terreni ricchi di zolfo per limitare la presenza di asparagina nella materia prima: anche in questo caso l’efficacia è elevata e gli effetti negativi sulle caratteristiche sensoriali sono limitati ma, di contro, la metodologia non si adatta bene alle pratiche coltivazione biologica.
Tra le strategie legate al processo, invece, sono ritenute relativamente valide la cottura a temperature più basse per tempi più lunghi e la sostituzione del bicarbonato di ammonio con agenti lievitanti differenti: in entrambi i casi, però, possono esserci degli effetti indesiderati sul colore, sul sapore e sulla texture del prodotto finito.
Anche la sostituzione del fruttosio con il glucosio può avere impatto negativo sulle caratteristiche sensoriali del prodotto ed ha un’efficacia limitata mentre l’eliminazione della farina integrale e l’aggiunta di sali di calcio hanno effetti negativi sugli aspetti nutrizionali.
Per quanto riguarda, invece, i prodotti a base di patate (patatine fritte a bastoncino, patatine in busta) la strategia reputata migliore per la mitigazione dell’acrilammide coinvolge il primo anello della filiera con la selezione di varietà/cultivar a basso tenore di zuccheri: limitando la presenza dei precursori dell’acrilammide si avrà una sua efficace riduzione con costi bassi e senza grosso impatto sulle caratteristiche sensoriali del prodotto finito.
Proseguendo lungo la filiera di produzione sono state valutate in maniera positiva anche le strategie legate alla conservazione opportuna della materia prima (temperature superiori ad 8°C) oppure al blanching all’inizio del processo di trasformazione. In entrambi i casi si può ottenere un buon tasso di riduzione dell’acrilammide con effetti collaterali limitati (ridotta conservabilità nel primo caso e variazione delle caratteristiche sensoriali nel secondo).
Meno interessanti sono, invece, le strategie di processo legate alla combinazione tempo/temperatura ed alle dimensioni del prodotto destinato a frittura a causa degli effetti negativi sulla croccantezza e sul colore. Analogamente l’aggiunta di sodio difosfato può avere impatto negativo sull’aroma, mentre l’inibizione della germogliatura è di difficile applicabilità e ha un’efficacia limitata.
In sintesi la valutazione delle strategie di mitigazione, pur essendo doverosamente basata sulle conoscenze scientifiche e sullo stato dell’arte della ricerca di base, non può prescindere da considerazioni di natura tecnologica ed industriale che ne possono limitare o al contrario favorire l’applicazione su scala reale.
È necessario, infine, un approccio integrato alla filiera che non demandi le azioni di mitigazione dell’acrilammide al solo produttore finale, ma coinvolga e responsabilizzi tutti gli attori della supply chain.
Vincenzo Fogliano* e Maria Antonella Palermo
*Direttore del Dipartimento di Food Quality & Design Università di Wageningen Olanda