Negli ultimi giorni, le tensioni commerciali tra Stati Uniti, Unione Europea e Cina hanno vissuto un’improvvisa accelerazione. Il presidente americano Donald Trump ha annunciato nuovi dazi, riaprendo un fronte che si pensava archiviato. Tuttavia, a sorpresa, la risposta europea potrebbe rivelarsi anche un’opportunità: non solo di difesa, ma di rilancio strategico. Il 2 aprile Trump ha annunciato dazi del 25% su acciaio e alluminio, coinvolgendo anche partner europei. Solo pochi giorni dopo, il 9 aprile, ha rilanciato con tariffe del 125% verso la Cina, salvo poi sospendere parzialmente le misure verso l’UE per 90 giorni. Questo tentativo di “diplomazia muscolare” è stato definito dal presidente il “Liberation Day” per l’industria americana. La Commissione Europea ha risposto con cautela ma decisione. La presidente Ursula von der Leyen ha dichiarato che l’UE è pronta a difendere i propri interessi con contromisure su prodotti simbolici americani, ma ha lasciato aperta la porta al dialogo. Tra i beni sotto osservazione ci sono whiskey, jeans e motociclette, in un chiaro segnale politico. Il pacchetto di contromisure UE da 23 miliardi di dollari potrebbe scattare già dal 15 aprile, salvo sviluppi positivi nei negoziati.
La Cina ha reagito con meno diplomazia. I dazi americani sono stati confermati e inaspriti, e Pechino ha risposto mantenendo le proprie tariffe all’84%. Si profila un confronto lungo e complesso, che rischia di destabilizzare l’economia globale se non gestito con equilibrio. Nonostante le tensioni, i mercati hanno reagito positivamente alla sospensione temporanea dei dazi tra USA e UE. Le borse europee hanno chiuso in rialzo, con l’Ibex 35 spagnolo a +8,6%, il miglior risultato dal 2010, e segnali simili da Francoforte e Milano.
Dalla reazione alla riflessione: cosa può (davvero) fare l’Europa
Ma se il “Liberation Day” di Trump fosse, paradossalmente, un’occasione di liberazione anche per l’Europa? È la tesi provocatoria — ma ben argomentata — del Sole 24 Ore, che rilancia un dibattito interno sulle politiche regolamentari europee. Infatti, molte delle “barriere commerciali” denunciate nel National Trade Estimate Report on Foreign Trade Barriers 2025 (citato dallo stesso Trump) sono già oggetto di critica anche da parte delle imprese europee. Normative ambientali (come il regolamento REACH), etichettatura alimentare (come il Farm to Fork), e persino il GDPR sono visti da entrambe le sponde dell’Atlantico come eccessivamente complesse e penalizzanti, soprattutto per le PMI.
Il punto sollevato è chiaro: forse l’UE dovrebbe cogliere l’occasione per ripensare in chiave strategica il proprio impianto normativo, semplificando regole, riducendo i costi di compliance e favorendo un ambiente più favorevole all’innovazione. Lo stesso Mario Draghi, nel suo recente rapporto sulla competitività, ha evidenziato come tra il 2019 e il 2024 siano stati adottati 13.000 atti legislativi europei, a fronte di circa 3-500 negli USA. Questo sovraccarico normativo rischia di essere un freno alla competitività, soprattutto in settori strategici come il digitale, l’energia e la farmaceutica. La tentazione di rispondere ai dazi con altri dazi è forte, ma l’Europa potrebbe scegliere una via alternativa e più lungimirante: aprire un confronto vero sulle barriere non tariffarie, semplificare il proprio quadro normativo e rilanciare un’agenda economica favorevole alla crescita, all’innovazione e alla competitività. In un mondo dove la globalizzazione è sempre più interdipendenza e meno predominio, un’Europa forte, coerente e strategica sarebbe la migliore risposta possibile al protezionismo di ritorno. Forse, allora, il “Liberation Day” non sarà solo una provocazione americana, ma anche un’occasione storica per l’UE.
FONTI: THE GUARDIAN, RAINEWS, IL SOLE 24 ORE